1 Novembre

“Don’t Cry Daddy: un dolce canto di dolore da padre in figlio” di Marco Lofino

Elvis Friends

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Cari amici vicini e lontani, la maggioranza vince, come si suol dire, e nel sondaggio creato dagli amici fraterni dell’Elvis Friends, ha trionfato “Don’t Cry Daddy” che indiscutibilmente è una delle canzoni più rappresentative dell’Elvis maturato ed in pieno controllo della sua carriera, tornato sulle scene in grande stile nel 1968 e definitivamente conclamatasi artista a tutto campo musicale l’anno successivo, con il ritorno alle esibizioni dal vivo a Las Vegas in estate e qualche mese prima, in studio, con le leggendarie quanto strepitose sedute di registrazione agli American Sound Studios di Memphis.
Da queste sessions abbiamo sviscerato passo dopo passo Kentucky Rain una settimana fa.
Oggi tocca ad un altro gioiello, scritto mirabilmente da uno dei più grandi songwriter di sempre, Mac Davis, che produsse per Elvis altri capolavori , come In The Ghetto, Memories, A Little Less Conversation ed altre ancora…

Don’t Cry Daddy venne pubblicato nel Novembre del 1969 (il lato B scelto fu curiosamente una canzone assai allegra e dallo spirito totalmente diverso come “Rubberneckin”). Inciso nella prima tranche delle sessions di Memphis , Elvis non riuscì, a causa di un forte raffreddore, ad inciderlo nello stesso giorno in cui i musicisti di Memphis si trovarono a registrare la traccia ritmica, il 15 gennaio, ma sovrappose la sua voce il 21, sei giorni dopo.
Non esattamente un metodo che Elvis apprezzava, ma in quel caso fu necessario per portare a compimento la produzione e la realizzazione del brano.

Si è detto molto su “Don’t Cry Daddy” in passato. Molti pensano che sia in assoluto uno dei motivi più autobiografici di Elvis, e probabilmente è così. Il pezzo, che già di per sé è un capolavoro, viene ancora una volta valorizzato dall’interpretazione delle parole che Elvis assorbe rivivendole in prima persona, con la sua voce che è qualcosa di prodigioso, un angelo che libera un triste canto d’amore e di dolore per la sua famiglia.
Non sapremo mai se pensasse a Mamma Gladys, se veramente nella sua testa e nel suo cuore (personalmente dubito, perché per lui Gladys era, rimase e ancor ora lassù resterà insostituibile) cercasse una madre nuova per sé e papà Vernon, ma al tempo stesso non possiamo non notare quanto fosse coinvolto dalla pregnanza delle parole durante la sua interpretazione che è dolcezza vocale allo stato puro.

Viaggiamo insieme all’interno del brano effettuando, per quanto possibile, un’analisi semantica ed animica, perché Elvis va ascoltando liberando l’anima ed accogliendo il suo messaggio vocale all’interno, magari
accompagnando il tutto con una tazza di thè bollente e fumante.

Today I stumbled from my bed
With thunder crashing in my head
My pillow’s still wet from last night’s tears
And as I think of giving up A voice inside my coffee-cup
Kept crying out, ringing in my ears

“Oggi sono caduto dal letto
Con un fragore che mi rimbalzava nella tsta
Ed il cuscino ancora bagnato dalle lacrime della sera prima
E non appena meditavo di arrendermi una voce dentro la mia tazza di caffè
Continuava a gridare, riecheggiando nelle mie orecchie”

Elvis introduce il tema portante del brano, il pianto del padre che ha perso la moglie, e lo fa cantando con infinita dolcezza quasi ad accompagnarci verso la metà, un padre che è rimasto vedovo coi suoi figli riuscendo a mescolare, con la sua voce, la sensazione olfattiva ed epidermica delle labbra sul cuscino nonché quella uditiva della voce all’interno della tazza di caffè.
Se già di per sé Mac Davis era riuscito prodigiosamente a scrivere tutto questo, Elvis fa ancora di più con la sua voce rendendo il testo visibile e vivibile con la sua voce, immedesimando se stesso e chi ascolta.

Don’t cry, daddy
Daddy, please don’t cry
Daddy, you’ve still got me and little Tommy
And together we’ll find a brand new mommy
Daddy, daddy, please laugh again
Daddy, ride us on your back again
Oh, daddy, please, don’t cry

“Papà non piangere
Papà per favore non piangere Papà hai ancora me e il piccolo Tommy
Insieme troveremo una mamma nuova di zecca
Papà ti prego sorridi ancora
Papà facci salire a cavalcioni sulla tua schiena ancora
Oh Papà per favore non piangere”

Il grido di dolore del figlio che viene reso con la tenerezza che solo la voce di Elvis poteva rendere. Il pezzo è proprio strutturato per riuscire a contenere questo dolore nella dolcezza di un’implorazione al padre distrutto dal dolore, che si palesa pure nella strofa successiva

Why are children always first
To feel the pain and the hurt the worst?
It’s true but somehow
It just don’t seem right
Cause every time I cry, I know
It hurts my little children, so I wonder
Will it be the same tonight
?”

“Perché sono i bambini a sentire il dolore per primi e a soffrire di più
È vero ma non è giusto in un certo senso
Perché ogni volta che piango so di fare del male ai miei bimbi
E mi chiedo se accadrà la stessa cosa stanotte”

In questo passaggio Elvis trapassa il dolore del figlio ed entra in quello del padre. Praticamente è un narratore in musica che prende il testo, lo fa suo, passa da un personaggio all’altro come se nulla fosse e ne decanta sensazioni, amarezze ed inquietudini.
Facile? Tutt’altro. Tremendamente difficile ma non per lui. Bisogna avere un’anima delicata e sensibile per riuscire a far rendere con la voce tutto questo, ed Elvis lo fa esattamente come prima, accarezzando le corde dell’anima di un papà dilaniato dal dolore e consapevole che i suoi figli sono quelli che soffrono di più per la perdita della mamma temendo che possa accadere anche la notte stessa dello sfogo, in una crisi di pianto.

E’ tutto commovente e toccante amici. Io credo che solo Elvis Presley potesse far emozionare il suo pubblico con la sua voce in questa maniera.
Per questo “Don’t Cry Daddy”, che ebbe un grandissimo successo di vendita ( arrivò al sesto posto in classifica), è senza alcun dubbio uno dei brani più rappresentativi nella carriera dell’uomo di Memphis.

Sentirlo poi cantare da Lisa Marie, nel primo concerto virtuale del 1997 (il video è presente su YouTube), rende il tutto ancor più toccante perché aggiunge familiarità, perché per certi versi quel dolce canto di dolore si trasmise da padre in figlia, e il dolore di Lisa Marie, oggi più forte che mai
dopo la perdita del figlio Benjamin, sembra rimbombare fra terra e cielo se ci pensate.
La grandezza di Elvis è anche e soprattutto questa: superare le dimensioni spazio temporali ed accarezzare l’anima di chi lo ama con la sua voce.
In Don’t Cry Daddy lo esprime in maniera insuperabile.


Ora e per sempre
Viva Elvis sempre.