28 Luglio

OLDIES BUT GOODIES – FRA RISCOPERTE E CERTEZZE NEGLI ANNI

Elvis Friends

No Comments

OLDIES BUT GOODIES 
FRA RISCOPERTE E CERTEZZE NEGLI ANNI
di Marco Lofino

Nell’analizzare il rientro sulle scene di Elvis dal 1969 in avanti, abbiamo considerato svariati aspetti legati non solo alle sue indiscutibili capacità vocali, ma anche e soprattutto alla quantità, oltre che alla qualità, del repertorio eseguito tenendo conto delle varie fasi che costituiscono gli ultimi otto anni della sua carriera. Si dice che dopo il 1970 Elvis non amasse molto riproporre dal vivo alcune delle canzoni che gli diedero maggior successo all’inizio della sua carriera, tanto da “accorciarle” spesso in dei medley eseguiti quasi repentinamente come a dire “ok, le ho fatte, finite, passiamo oltre”… Questo può essere vero per alcuni brani tipo il medley “Teddy Bear-Don’t Be Cruel”, “All Shook Up” (la cui velocità nell’esecuzione aumenta esponenzialmente fino al 1972 per poi rallentare, ma per altre ragioni che ben si conoscono, dopo), o l’immancabile “Hound Dog”. Lo stesso Elvis, quest’ ultima, era solito definirla una “silly song” (lo si sente spesso ripetere questa espressione in alcuni show del 1975) ma alla quale comunque non poteva, e forse, non voleva rinunciare… Un discorso analogo si può fare per il brano melodico per antonomasia, il superclassico cavallo di battaglia, ovvero “Love Me Tender”, che Elvis eseguì dal vivo con regolarità fino all’estate del 1975 e solo sporadicamente nel 1976-77. Il brano era diventato un’occasione per tirare il fiato, per la routine dei foulard e per baciare le ragazze delle prime file. Lo stesso Elvis, in svariate circostanze, era solito dire “ Ora faremo un pezzetto di Love Me Tender, solo un pezzetto” (in realtà poi veniva eseguita nella sua interezza), se non addirittura interromperla dopo poche note, scherzando come sue solito (“ non la vorrei fare, sono un po’ stufo di Love Me Tender….Ma si’ dai facciamola…)… Indubbiamente era palese la sua volontà di non rimanere “fossilizzato” sui brani degli esordi, l’evoluzione della scaletta dal 1969 in avanti lo conferma, con brani impegnati oltre che impegnativi dal punto di vista vocale, il tutto in quella trasformazione che lo vide sostanzialmente evolversi da mero cantante di rock and roll (anche se non lo è mai effettivamente stato, ed i fan, più che i critici musicali spesso ancorati ad etichette preconfezionate, lo sanno bene ) a vero e completo “entertainer” di classe che non rinunciò però al suo passato. Di fondamentale importanza è il concetto appena espresso. Perché non tutti i brani del passato ricevettero lo stesso trattamento “repentino”, ovvero quelle che i fan con familiarità con la lingua inglese conoscono come “throw away versions”. Come primo esempio penso a “Trying To Get To You”. Elvis, quasi a scusarsi col suo pubblico, ricordava spesso prima dell’esecuzione che all’epoca dell’incisione del brano la sua voce era molto più alta (“when my voice was so much higher”). Nella maggior parte dei casi l’esecuzione era di ottima fattura, se non addirittura straordinaria, come nel Marzo del 1974, con Elvis in forma vocale strepitosa. Il pezzo rimase in scaletta fino alla fine, ricordiamo una bellissima ed intensa versione dal concerto di Rapid City del 21 Giugno 1977, in cui prima di cimentarsi in una versione quasi “blues” del brano, ricorda quanto piacesse persino a papà Vernon. “Heartbreak Hotel” è indubbiamente il classico dei classici dell’ Elvis anni cinquanta, uno di quelli che gli diede maggior popolarità oltre che successo di vendita. Sarà per questo o forse perché lo amava particolarmente che negli anni settanta, cominciando dalle prime versioni a Las Vegas del 1969, non ricordo una cattiva o frettolosa esecuzione del pezzo che nell’arrangiamento di Glen Hardin (che curava tutti gli arrangiamenti degli anni settanta) era reso più moderno e blueseggiante, valorizzato al massimo dall’assolo centrale di James Burton. Lo stesso si può dire per il più graffiante fra i rock and roll, la dirompente “A Big Hunk O’ Love), eseguita su base regolare fino alla fine del 1973 oltre che nell’indimenticabile concerto in mondovisione “Aloha From Hawaii”. Ci sono tanti altri esempi da considerare, come “Lawdy Miss Clawdy” o “My Baby Left Me”, senza dimenticare che la voce di Elvis non era più quella degli esordi e quindi effettuare un raffronto, oltre che diventare obiettivamente difficile, sarebbe forse non opportuno. La discussione verte non sulla qualità dell’esecuzione dal punto di vista vocale, ma sull’impegno e la considerazione che verso di essi Elvis impiegava nella proposta “on stage” del pezzo. Rimandando ad un contributo di qualche tempo fa, come non ricordare dei brani degli anni cinquanta che Elvis avrebbe potuto cantare con il medesimo esito (o meno) dei precedenti…La gamma è ampia, la scelta, in base al gusto personale, ancor di più. A mente ricordo “ Now And Then There’s A Fool Such As I” “Baby Let’s Play House”, provate per il TTWII e poi scartate, oppure , entrando nel melodico, “ I want you, I need You, I love You” o “Loving You”, quest’ ultima proposta, se la memoria non m’inganna, una sola volta in un concerto della sfortunata (poiché interrotta prematuramente per motivi di salute) stagione a Las Vegas nell’estate del 1975. Gli esempi sono tantissimi, ora, mentre scrivo, mi tornano in mente “I Got Stung”, “I need your Love Tonight”, “Ain’t Loving You Baby”, e la bellissima country song “your Cheatin’Heart”, “Paralyzed”, e chi più ne ha più ne metta. Resta come sempre un bagaglio musicale di tutto valore, forse non del tutto sfruttato nell’ultima fase della sua carriera, ma che rende i suoi appassionati deliziati testimoni di una magia unica come quella che era ascoltare Elvis in concerto.